“LO SPETTACOLO E’RINVIATO A DOMANI SERA”
di
Maurizio
Roveri
SCENA 1
Buio assoluto. Si sentono
i passi del protagonista, ma non si vede niente. Ad un certo punto un occhio di
bue ,di lato, illumina la figura. E’ un uomo. Alto, magro. Carnagione
pallidissima. Ha un completo classico, elegante, grigio scuro. Ha in mano un
ombrello nero. Inizia a parlare con un tono quasi
minaccioso.
Si sente una musica lenta
e malinconica di pianoforte.
Il
protagonista si rivolge al pubblico:
“Credo di
sapere perché siete qui”.
Inizia a
camminare lentamente e parla tra se e se senza guardare il
pubblico:
“Un palco.
Un copione. Un pubblico./ Parole. Applausi.
Non è
forse così?/
Sappiamo
che voi /avete pagato un biglietto.
Sappiamo
che io/ ho un contratto e prenderò dei soldi”.
Si rivolge
nuovamente al pubblico, interrompendo il suo passeggiare
nervoso:
“In questa
vita /si crede di saper sempre tutto.
Si crede
che entrare da un fornaio, per comprare mille lire di schiacciata, odorando il
caldo odore di pane, non sia pericoloso. E se in quel momento vi
sparassero?”
Torna a
parlare con se stesso, riprendendo a camminare per il palco, sempre seguito
dall’occhio di bue:
“Si pensa
/che un marito baci la moglie per amore passionale. E se lui fosse un
/omosessuale?
Si dice
che annaffiare una piantina serva a farla crescere. E se la mattina dopo le
vostre cure, la trovaste morta, appassita. E al suo posto /un freddo barattolo
di latta, o uno sterco /caldo. Che cosa fareste? Come
reagireste?”
Si ferma
di scatto e si rivolge al pubblico quasi minaccioso:
“Come
reagireste se, mandando alla malora il vostro biglietto ed il mio contratto,
adesso non facessi uno spettacolo, ma/
vi
parlassi dei miei problemi. O peggio ancora vi insultassi, dicendovi che mi
avete rotto le palle con i vostri /viaggi all’estero, i vostri cellulari ed i
vostri brillanti. Ve lo dico , ve lo chiedo perché io/ non farò lo spettacolo
per il quale voi avete pagato./
Sappiamo
sempre tutto. Si crede di saper sempre tutto. Ad esempio. Sono imbecille io? Che
mi vi presento in un teatro, al coperto, con questo grosso
ombrello?”
Ancora
parlando tra se, noncurante del pubblico:
“No. Io
non sono pazzo. Non sono pazzo ./ Vivo./ E nella vita, piove. Piove quasi
sempre./ Piovono lacrime, piove sesso, piove merda, piovono soldi e baci e figli
e lavori e gomme bucate e bicchieri di latte e pianti di
neonati.”
Torna a
rivolgersi al pubblico:
“Come
cazzo fareste /senza ombrello?”
Si inizia
a sentire una pioggia cadere con una violenza quasi innaturale, la luce
dell’occhio di bue si affievolisce pian piano.
Apre
l’ombrello, si ammutolisce, rimane alcuni secondi con il grosso ombrello aperto
sopra la testa, poi senza chiuderlo, si avvia fuori dalla scena. Il sipario non
si chiude.
SCENA
2
Iniziano
ad arrivare dalle quinte, sia dai lati che dal retro, e anche da sopra dei
cuscini di diverse grandezze, rossi e soffici, e dall’alto cadono anche delle
strisce di tela rossa. Contemporaneamente una musica quasi improvvisata e
rumorosa fa entrare 4 ballerini vestiti di rosso che ballano quasi fuori tempo
saltando da una parte all’altra del palco. La musica contiene anche un battito
cardiaco in sottofondo. Ad un certo punto i ballerini si accasciano quasi
mimettizzandosi tra gli altri cuscini, la musica sfuma e resta il battito del
cuore. Adesso rientra il protagonista e si trova circondato da strisce di seta
rosse e cuscini. E’ quasi sommerso dai cuscini rossi di ogni grandezza. Le luci
che lo illuminano sono molte, assai forti e soltanto rosse. Lui non ha più
l’ombrello ma è vestito come nella scena precedente.
Si rivolge
al pubblico:
“Dove
pensate che io sia?
Se avete
ascoltato /capite...”
Si sente
il ritmo del battito cardiaco ormai ben definito farsi sempre più frequente. La
musica non c’è più ed i ballerini sono ancora
immobili.
Passeggiando nervosamente, parlando senza degnare di
uno sguardo il pubblico:
“Non
vedete? /Questo rosso, dico? Questo è sangue./ E’ un
cuore.
Io sono
nel cuore di una persona...anzi,/ nel cuore di molte persone. Nel mio,
d’altronde ce ne sono molte. Nel vostro ci sono molte persone e voi siete in
molti cuori.
La consapevolezza?! /Sappiamo che possiamo far
soffrire o soffrire con il minimo movimento! Non mentiamo,/ lo si
sa!”
Adesso
invece si rivolge al pubblico:
“Una corsa
/ad esempio. Secondo voi è violenta? Un bimbo che corre, se vi immaginate un
bimbo che corre, /pensate a qualcosa di brutto? No. /Però
/guardate...”
Inizia a
correre in un modo infantile. Salta e ride. Va da una parte all’altra del palco.
Così facendo colpisce i cuscini. I più piccoli e fragili si rompono. I 4
ballerini si rotolano sul pavimento del palco. Alcune delle strisce che pendono
restano incastrate tra le sue gambe in corsa e si strappano. I ballerini mimano
il dolore con smorfie ecc. Poi lui si ferma e con lui anche i 4
ballerini.
Si rivolge
al pubblico, con affanno:
“Visto./
Io ho corso in un cuore. Io sono/ nel cuore di una persona. Corro felice e che
cosa succede? Faccio del male. Faccio /soffrire. Sapete che cosa vuol dire
soffrire? Vuol dire piangere.”
Il battito
cardiaco adesso è accompagnato da un lamento, un singhiozzio di
pianto.
Si
accascia, si mette le mani trai capelli, e senza guardare verso i presenti,
quasi urlando:
“Sebbene io sia nel cuore
di questa persona, lei soffre per me. Io ho provocato dolore /nel suo cuore.
Solo /con una /corsa.”
Si alza di
scatto ed esce di scena.
Si chiude
il sipario.
SCENA
3
Si riapre
il sipario. Buio in scena. Si sentono dei passi e delle raffiche di vento. Poi
un dialogo freddo, veloce. Una voce femminile ed una maschile, ma non del
protagonista.
Voci fuori
scena:
Lei: ”Io
non volevo farti male” –dispiaciuta.
Lui: “Io
volevo stare bene con te.” –deluso.
Lei: “Ma
io non lo voglio.” –fredda.
Si sente
il rumore di una portiera di un’auto che si apre e si chiude. Si sente il motore
accendersi e l’auto andare via. Si sentono dei passi e tornano le raffiche di
vento, poi un occhio di bue, da una posizione diversa, illumina adesso il
protagonista. Lui è vestito come nelle scene precedenti. Davanti a lui, ai suoi
piedi ci sono alcuni pezzi di polistirolo colorati, sono componenti di puzzle
tridimensionali.
Si rivolge
al pubblico:
“E’ andata
male. Forse è bastato /un fraintendimento. Un no che doveva essere pronunciato
in modo meno brusco, o un si /che doveva essere detto in un modo più dolce.
Invece è andata male. Lei /in auto e lui /a piedi, ma su strade diverse, non su
la stessa.”
Inizia a
passeggiare avanti e indietro sul palco, ma l’occhio di bue non lo segue, è lui
a transitare sul cerchio di luce.
“E’ un
cane che si morde la coda, persone che hanno un impiego che non appaga, uomini
che amano donne che non ricambiano e che amano altri uomini che però amano altre
donne. La scontentezza così si allarga /a macchia d’olio. Mamme che vorrebbero
figli avvocati che invece suonano tastiere e che vorrebbero madri cantanti e
invece sono commesse. Donne che non possono avere figli e piangono quando altre
donne gettano neonati in sacchetti e cassonetti. Uomini pieni di vita dilaniati
da bombe in attentati e uomini che vogliono farla finita che non trovano il
coraggio di uccidersi.”
Torna a
rivolgersi al pubblico:
“E voi
/che volevate vedere uno spettacolo, state vedendo una mano che toglie un telo.
Sotto il telo aspettavate una cosa e ne trovate un’altra. No, niente spettacolo
stasera. Lo spettacolo è rinviato /a domani sera. Io sono un cielo ed un vento
amico mi lava dalle nubi.”
Prende due
dei tanti pezzi colorati ai suoi piedi. Prova ad incastrarli. Non è possibile.
Ne fa cadere uno e ne prende un altro e riprova. Nulla da fare. Fa cadere tutti
e due i pezzi e ne prende altri due nuovi, ma ancora niente. Si nota che si sta
innervosendo. Lascia cadere anche questi due pezzi. Inizia a scalciare sui pezzi
colorati, alcuni si rompono. Inizia a gridare.
Nervoso,
annoiato e deluso, senza rivolgersi al pubblico, quasi
urlando:
“Basta.
Non torna. Non collimano. Non /combaciano. Fatica, sudore, tentativi e non
combaciano.”
Si
scaraventa a raccogliere un paio di
pezzi di polistirolo, già rotti, e con disgusto sferra alcuni morsi animaleschi,
accompagnati da rumori grotteschi. Buio in scena. Si chiude il
sipario.
SCENA
4
La scena è
chiaramente all’interno di una bottega, un piccolo alimentari. Dietro al banco
c’è una ragazza sulla trentina che porge una busta con del pane ad una anziana
signora.
“Ecco a
lei signora Marisa. Sono tremila e cinquecento lire.”
“A lei.
Buona giornata”
Ci sono
altri tre clienti. Un ragazzino sui quindici anni, un uomo sui quaranta e il
protagonista, sempre vestito nello stesso modo. La commessa su di un piano alle
sue spalle ha una radio accesa. Si sente in sottofondo “Illuso” di Daniele
Silvestri.
L’anziana
signora prende la busta, paga ed esce. La ragazza al banco
chiede:
“A chi
tocca?”
Si fa
avanti l’uomo sulla quarantina.
“A me,
grazie. Vorrei un etto di salame, quella piccia di pane, una vaschetta di sugo
al pesto e due mozzarelle”
Il
protagonista intanto sbircia nervosamente tra gli scaffali del vino ed il
ragazzino sceglie delle patatine. Ad un tratto si rivolge al
pubblico:
“Quante
persone entreranno al giorno in questa bottega. Alla settimana. Quante persone
vedranno questa giovane commessa in un anno. Qualcuno sarà un cliente abituale e
lo vedrà ogni giorno. Altri saranno i clienti del sabato, magari i mariti delle
signore che fanno la spesa ogni giorno e che al sabato, giorno di festa vengono
a fare loro la spesa. Altri passeranno per caso da questa strada, turisti o
persone che stanno all’altro capo della città ma hanno bisogno dello spuntino
mentre tornano da lavoro, e allora si fermano per un pezzo di
schiacciata.”
La ragazza
porge all’uomo la busta con la spesa.
“Ecco a
lei signore, quattordici e seicento”
“Tenga,
grazie e buona giornata.”
Ancora il
protagonista:
“Quante
volte si ritroveranno in questa bottega tre o quattro persone alla volta. Tante.
Eppure nessuno conosce niente dell’altro. Non si parla. Non parlando non si
conosce. Magari abbiamo accanto il padre di un nostro amico, o la madre della
nostra professoressa o l’amante del nostro datore di lavoro. Magari la donna
entrata prima di noi è stata il primo amore di nostro padre o la professoressa
di latino di nostro fratello. Ma /non parliamo /e non lo sapremo
mai.”
Mentre il
ragazzino da le patatine alla ragazza, l’uomo con la busta della spesa, sta
uscendo. Il protagonista si affretta anche lui verso l’uscita, lo prende sotto
braccio ed esce con lui. La scena termina. Buio in scena. Ma il sipario non si
chiude.
SCENA
5
Il
protagonista e l’uomo sono ancora a braccetto ma non parlano. Camminano in un
corridoio di ospedale da sinistra a destra, si può riconoscere l’ambiente dalla
presenza di due infermiere all’estrema sinistra del corridoio. Parlano ma non si
sente visto che parlano tra loro a voce bassa. Si vedono due porte che danno su
due camere. Si sentono suoni di ambulanze.
Dalla
prima porta esce una signora anziana in lacrime,
disperata:
“Perché,
perché, come farò, era tutta la mia vita!!??”
Le due
infermiere non si distolgono dalla loro conversazione.
Dalla
seconda porta esce un uomo sulla trentina. Un ragazzino di 5-6 anni gli corre
incontro, entrando dalle quinte di destra:
L’uomo si
accascia per prendere in collo il bambino. Sono tutti e due dolcemente
sorridenti. L’adulto è in jeans, camicia e cravatta. La cravatta ha il nodo
ormai mal messo e l’ultimo bottone della camicia è aperto. Il bambino ha una
tuta blu.
“Adesso
vieni con me a conoscere la tua
sorellina.”
Si sente
una musica di carillon da neonato, da adesso finché la scena non si
chiuderà.
Le due
infermiere non si distolgono dalla loro conversazione.
Il
protagonista all’uomo che tiene a braccetto:
“Vede…vedi
qual è la lama che penetra dolorosamente nelle vite? E’ questa /indifferenza.
Vedi /è questa indifferenza che ci secca/ aridamente
/l’anima.”
Transitando davanti alle infermiere, l’uomo lascia la
busta della spesa a una delle due infermiere. Questa per un attimo la tiene, poi
la lascia cadere per terra, senza mai interrompere la conversazione con la
collega.
I due
uomini stanno percorrendo l’ultimo tratto del corridoio e la scena si chiude
sfumando la luce. Il sipario si chiude.
SCENA
6
Si riapre
il sipario. Riappare il protagonista, sempre vestito nello stesso modo. Solo la
luce di un occhio di bue laterale lo illumina.
Si rivolge
serio, quasi mesto al pubblico:
“Esiste
una caratteristica nella vita delle persone che purtroppo giustifica qualsiasi
situazione. E’ il dualismo opinabile- inopinabile. Per qualcuno /sono necessarie
le spiegazioni. Per altri /si dovrebbe capire sempre tutto. Per molti sono
importanti/ le domande, per tanti altri /sono inutili le risposte. Il dramma è
che tutti hanno torto e ragione. Ma tutti /vogliono solo la ragione. Ci sono le
diverse culture, le famiglie alle spalle, gli anni trascorsi, la società, le
relazioni sociali, il lavoro. E così tutto, o quasi, è concesso. E forse è un
bene, in fondo alla libertà e alla democrazia ci credo anche io. Forse è vero
che non esiste il giusto e lo sbagliato: in Messico ad esempio si corteggia
l’amata da sbronzi e suonando serenate. Io non lo farei mai. Ma è anche vero
/che non sono in Messico e che non sono un messicano. Sono i tempi e i luoghi
/che rendono tutto opinabile.”
Si sente
già da quasi un minuto “Povera Patria”, di Franco Battiato. Il protagonista sta
fermo, col capo chino e le braccia scese sui fianchi. Allo sfumare della musica
la luce affievolisce pian piano fino al buio totale, la scena termina ed il
sipario si chiude.
SCENA
7
Il
protagonista, col solito abito, si presenta sul palco lluminato da fasci di luce
di diversi colori. Si rivolge al pubblico:
“Lo
sapevate che i serpenti non hanno rapporti duraturi? Si, dovete sapere che dopo
il corteggiamento e l’accoppiamento il maschio se ne va. Non hanno rapporti
/duraturi. Che cosa penserete di me!? Vi sembrerò pazzo, deprimentemente
pessimista, monotono!? Spero di no. Sareste così /ingenui. Quanto vi
sbagliereste!!”
Scendono
le sagome di un sole e d una luna, con due appositi fori per la faccia, il
protagonista mette la faccia prima nel sole e poi nella
luna.
“Vedete ,altro che. Io
sono il sole, la luna. Io /scrivevo felicemente sui banchi di scuola. E ridevo
alla sgrammaticature dei professori.”
Sul palco
c’è una lavagna, col tre piede. C’è scritta sopra, a gessetto bianco un
equazione ,iniziata. Lui si avvicina alla lavagna. Ed inizia a parlare rivolto
verso questa.
“Vedete?
L’amicizia, l’amore, il lavoro… Anzi no./ La vita. La vita /è un equazione.
Basta un segno sbagliato, un meno al posto di un più, anche già al primo
passaggio, e…Il risultato /cambia.
Non –2/3, come c’è alle ultime pagine del libro verde, nell’appendice con
i risultati degli esercizi, ma /+
Cancella
con la mano l’equazione. Poi si rivolge al pubblico:
“E allora
se dobbiamo sbagliare /ben venga nei primi passaggi l’errore, così quando
ricontrolliamo, perdiamo /poco tempo e vediamo subito /dove abbiamo
sbagliato.
No, no,
no, non sono affatto deprimentemente pessimista.”
Cadono
foglie gialle, verdi e rosse, da autunno.
“Si corre
nei cuori e si far stare male, ma si corre nei boschi per vivere gli
odori”
Inizia a
correre. Entrano i 4 ballerini vestiti da albero, ballano, poi si fermano. Lui
ci si stende sotto. Da sdraiato parla con un urlo
felice:
“Esistono
i riposi all’ombra di alberi secolari, che se gli ascolti ti raccontano i
colori”.
Adesso c’è
anche una musica, allegra di violini e flauti.
Si rialza
e rivolgendosi ai 4 ballerini- albero dice:
“Sono
felice. Io /sono anche felice. Alle volte deluso, incazzato, triste. Ma sono
felice e lo voglio scrivere /sulle nuvole così tutti leggeranno, sui fiumi /così
la notizia viaggerà veloce, nel vento, per diffonderla /nel
mondo.”
La musica
sale di volume e intensità. I 4 ballerini roteano improvvisando
nell’aria.
“Sono
felice perché vivo. Perché una sola volta mio padre mi ha dato uno schiaffo, ed
era proprio l’unica volta che non lo meritavo e allora chiese
scusa.
Sono
felice perché mia madre custodisce nel suo cassetto le poesie più commoventi che
scrivo.
Sono
felice perché mio fratello mentre piangevo per l’unico amore della mia vita mi
disse “smetti o fai piangere anche me”.
Sono
felice perché c’è il rosso, il vento, la pioggia ,il sole, la luna ,gli
alberi.
Sono
felice perché non avete visto lo spettacolo che dovevate
vedere…”
La musica
si ferma e i 4 ballerini escono. Si rivolge al
pubblico:
“La colpa
/non è mia. E’ sua./ Io stavo uscendo per venire qui a teatro e abbiamo
litigato. Avevo da fare lo spettacolo che dovevate vedere e invece /avevo voglia
di dire, parlare, far sapere. Tutti /dovremmo dire qualcosa al mondo,
impareremmo di più /e più in fretta.
Sono
felice perché esisto e con me esistono l’arte, la musica, la danza. Voi con i
vostri applausi.
Sono
felice perché forse nel buio di questo teatro magari in ritardo, sei arrivata
anche te. E ti sei stupita di non aver visto l’opera in programmazione /ma il
mio sfogo è nato proprio da te. Ma non per te. E se nel buio ci sei
ricordati che un bel giorno, forse
dopo tanti puntini sulle i che ti tarpano la spontaneità, sarai tu /ad
accorgerti che ti manco, che hai bisogno di me. Che abbiamo bisogno di noi.
Sarai tu ad accorgerti che, come dice un famoso racconto zen, se mangiando un
melone ne apprezzerai il buon gusto non ti dovrai domandare se il gusto è in te
o nel melone, ma dovrai limitarti a godere del suo buon gusto. Ma probabilmente
tu non sei arrivata, neppure stasera. Neppure in ritardo. E forse è un bene sia
per me che per te.
Vi chiedo
scusa. Voi vi chiederete com’è lei per avermi sconvolto così. E forse vi
aspettate che inizi con un “E’ bellissima”. Vi stupirò ancora. Per descriverla
non farei un minimo riferimento alla sua bellezza, vi dico solo che /è una di
quelle donne che lascia la scia di profumo anche dopo 12 ore di viaggio in
treno, e che va in giro quotidianamente con l’eleganza che i più raggiungono
solo nel giorno della loro tesi di laurea, o del loro matrimonio. E invece
magari in sala c’è una donna che si innamorerà di me, e sarà elegante e
profumata d’animo, e vogliosa di entrare nei vicoli della mia anima. Quanto a
voi. Vi chiedo scusa, nel caso sentiate la necessità di sentirvi chiedere scusa,
ma anche gli attori, per fortuna, alcune volte /lasciano cadere la maschera. Ed
io /sono un attore, e stasera /ho fatto vedere il mio vero volto. Scusate
ancora. Per lo spettacolo, beh…Lo spettacolo è rinviato a domani sera. Potete
tornare. Domani. Tutto sarà passato. Buonasera.”
Lui esce.
Il sipario si chiude e parte un valzer lento.
FINE